SILVANA MOSSANO
RICIGLIANO
Eccola la betoniera di don Gino Piccio. I ricordi sono così: se li tieni per te, stagnano nella nostalgia, ma, se li condividi, sono magica contaminazione. E, per questo effetto magico, è spuntata la foto di don Gino, sessantunenne nel 1981 quando fu scattata, al lavoro accanto alla betoniera portata dal Monferrato fino a Ricigliano, paesino dell’Irpinia affossata dal terremoto di quarant’anni fa.
La fotografia l’ha trovata Massimo Miglietta, medico casalese, uno tra i volontari che ha partecipato al campo di lavoro organizzato dal prete di Cascina G per collaborare alla ricostruzione di quel piccolo centro rurale al confine tra Campania e Basilicata. Nell’arco di tre anni, tra il 1980 e il 1983, si sono avvicendati tra i settanta e gli ottanta ragazzi di Don Piccio. Tra le memorie affiorano nomi: Piera Grandi, Fabio Alzeni, Fabrizio Bonelli, Beppe Ghilardi e Cristiana Longhin.
Ai volontari veniva pagato vitto (sobrio) e alloggio (in una baracca costruita con pannelli frigoriferi forniti da una delle fabbriche casalesi del «freddo») in cambio del loro lavoro, prevalentemente di elementare carpenteria che i più non avevano mai fatto: «Non sapevamo tenere una cazzuola in mano!» confessa Miglietta. E, tuttavia, sotto la guida di un capomastro moncalvese in pensione, quel che c’era da fare l’hanno fatto bene.
Ne dà conto, pizzicando nella memoria che ha lasciato un segno duraturo, Egon Giovannini, agronomo di Bolzano: «Avevo conosciuto don Gino quando era venuto nella mia scuola, un istituto tecnico, a parlare a noi ragazzi». Ispirandosi agli insegnamenti del pedagogo brasiliano Paulo Freire, li stimolava a riflettere su temi importanti di crescita e motivazione.
Egon Giovannini non si fermò a quell’esperienza e continuò a frequentare i laboratori di incontro a Cascina G di Ottiglio, dove il sacerdote viveva. «Ero intenzionato a svolgere lì il servizio civile», ma, il 23 novembre 1980, l’Irpinia fu strapazzata violentemente dal sisma. Lo squassamento di novanta secondi, poco dopo le sette e mezza di sera, sbriciolò attività e vitalità. E molte vite.
Anche la Caritas di Casale si propone di portare aiuto, chiamando il gruppo di don Piccio che già era stato un paio d’anni a dare una mano in Friuli, dopo il terremoto del 1976.
Nel gruppo che opera a Ricigliano, oltre ai volontari di Casale e dintorni, ci sono tre obiettori di coscienza in servizio civile: Giovannini, appunto, e poi Sergio Giordano e Renzo Zanero.
«La cosa più importante che offrivamo era il nostro lavoro gratuito» riferisce Giovannini. A Ricigliano, l’economia rurale era impostata, in larga parte, su uno schema di scambio: ad esempio, si coltivava il grano che veniva portato a un mulino dove lo si macinava ricavando la farina; il compenso per quel raccolto, equivaleva al pane che la famiglia del contadino si portava a casa.
«Il primo anno – ricorda Egon – ci siamo occupati di rifare tetti e ricoveri per proteggere i raccolti, le galline, i maiali, il vino o la salsa di pomodoro»: era ciò di cui vivevano, quindi fondamentale. Poi, il gruppo monferrino ha accettato di prorogare il campo di lavoro a Ricigliano con una impostazione diversa: «Avremmo continuato a fare piccoli lavori di manutenzione e rifacimento di magazzini, pollai e ricoveri agricoli, ma solo per mezza giornata. L’altra metà del giorno l’avremmo dedicata a un lavoro con la gente per aiutarla a prendere coscienza della situazione del paese sotto vari punti di vista e tentare insieme di trovare soluzioni secondo la metodologia di Paulo Freire». Questa presa di coscienza collettiva, soprattutto nella parte più giovane della popolazione, si tradusse in risultati: «Con grande soddisfazione posso dire che opere storiche e importantissime nella storia di Ricigliano come l’elettrificazione e la costruzione di un acquedotto in una zona non servita delle campagne, avvenuta con il contributo finanziario della Provincia di Bolzano e del Tirolo austriaco, è anche merito nostro. Quei fondi, senza il nostro lavoro con la gente, sarebbero sicuramente stati destinati altrimenti».
Prosegue: «Io a Ricigliano ci ho lasciato il cuore». Inoltre, «su quella esperienza sono state scritte tre tesi di laurea in pedagogia, don Piccio e io siamo diventati cittadini onorari di Ricigliano». Si è costruito insieme, si è discusso insieme, si è cresciuti insieme.
E ci si è pure divertiti, insieme. «All’epoca – ricorda Massimo Miglietta – avevo vent’anni, mi dedicavo al podismo. Nel mio secondo periodo di volontariato in Irpinia, partii con uno zaino pieno di coppe e medaglie. E là organizzammo una competizione podistica tra le macerie: una manifestazione sportiva così, nel 1980, a Ricigliano, non si era mai vista!».
I casalesi, in quella terra, anche prima del campo di lavoro dei monferrini non erano comunque degli sconosciuti; «un giorno – Miglietta ripesca ancora tra i ricordi – ero in pullman, diretto da Ricigliano a San Gregorio Magno. “Io a Casale Monferrato ci sono stato” attaccò a dire l’autista del bus. Ah sì? “Eh, ci ho fatto la naja”».
Che cosa è rimasto di quei tre anni a Ricigliano? Non ha dubbi Egon Giovannini: «La cosa più importante del lavoro svolto da Don Gino con tutti i volontari è di aver lasciato nei cuori e nelle coscienze di tutti la consapevolezza che si può lavorare insieme per un mondo migliore».
Le immagini del servizio sono state fornite da Massimo Miglietta
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Bello. Riapre il ricordo su un pezzo di vita importante per tutti noi. Grazie
Persone che devono essere ammirate per il loro impegno. Noi in Sardegna ci sono molti volontari che lavorano. I primi ad arrivare l’esercito e la protezione civile e propri cittadini. Che disastro. Gli italiani siamo fatti cosi. Non sempre. Ciaooooo
Felice. Che emozione rivedere quelle foto…tornare indietro di una quarantina d’anni. Ricordo una domenica di relax passata a Paestum…tra un carico di bolognini scaricato a mano ecc…Quanta gente in gamba che ho visto. Grazie.
Sono di Ricigliano, fortunatamente quel momento io non l’ho vissuto, son nata molto dopo,ma il ricordo dei miei genitori è stampato nei loro occhi e dà lì si può capire cosa siano stati quei giorni.
I soccorritori gli aiuti, qui in paese hanno tutti un bel ricordo di queste persone accorse a porgere a chi neaveva bisogno un’aiuto…..
Grazie