Sa, signor Schmidheiny, che cosa mi hanno detto? Che il mio è un sogno! No, signor Schmidheiny, no, io non le chiedo di farmi sognare. Io le chiedo di rendere concreta la speranza che è mia e di tanti altri, specialmente i malati che, pensi un po’, hanno una grande fiducia di essere i primi a poter guarire dal mesotelioma. Con una nuova cura definitiva. Vogliono farcela. E sarebbe possibile. Lei può farlo: non di avverare i sogni, ma di realizzare la speranza. Lei può finanziare e coordinare la ricerca della cura. Lei può, se vuole. Anche subito.
La speranza ha due bellissimi figli: lo sdegno e il coraggio. Lo sdegno per la realtà delle cose, il coraggio per cambiarle [Sant’Agostino]

Tre magistrati ospiti al 56° incontro di «Connessioni Prossime», il festival di consapevolezza ambientale e socio culturale, organizzato da Ecofficina e promosso da Rete ScuoleInsieme, Afeva e Aula delle 2 A – Amianto & Ambiente, intitolata all’ex sindaco Paolo Mascarino. Sono le toghe che hanno sostenuto la pubblica accusa nel processo Eternit Bis, di cui si è da poco concluso il secondo grado di giudizio in Corte d’Assise d’Appello: la pg Sara Panelli, il pm Gianfranco Colace di Torino e la pm Mariagiovanna Compare di Vercelli.

In realtà la toga non la indossavano, venerdì mattina 9 maggio, perché l’aula in cui sono stati invitati a parlare non era quella giudiziaria di Torino in cui l’abbiamo visti fino al 17 aprile (giorno del verdetto, ora in attesa delle motivazioni), ma l’aula magna dei licei Balbo a Casale, gremita di studenti (allievi ed ex allievi), insegnanti, attivisti di Afeva, giornalisti. C’erano anche il sindaco Emanuele Capra e l’assessore Fiorenzo Pivetta.

E i pm non hanno tenuto una requisitoria, ma una «lezione aperta» sulla vicenda Eternit in generale, a partire da quando, come ha ricordato il pm Colace, nel 2001 il procuratore aggiunto di Torino, Raffaele Guariniello, («diciamo così… il nostro professore preferito…»), «ci chiamò nel suo ufficio». Più precisamente chiamò Colace e Panelli, perché la dottoressa Compare, come ha lei stessa ricordato, a quell’epoca appena entrava in prima media, in una scuola del Sud. E anche quando, più tardi, all’università si trovò a studiare il caso Eternit, mai si sarebbe immaginata di «entrare poi a far parte della squadra».

«I processi Eternit – ha esordito la pg Panelli – senza le persone di Casale non si sarebbero mai potuti istruire». Come potersi sottrarre alla richiesta di giustizia implorata dagli sguardi di quelle donne e di quegli uomini che raccontarono, con dignità e forza d’animo, il loro lavoro in fabbrica, o i momenti strazianti di malattia delle persone care strappate via dal mal d’amianto? Una risposta alla richiesta di giustizia, hanno precisato i magistrati, non vendetta.
«Forse – ha aggiunto il pm Colace -, l’esito dei processi non ha rappresentato, fino a ora, una risposta soddisfacente, ma noi ci abbiamo messo tutto l’impegno possibile», a partire da quando Guariniello, appunto, li chiamò per dire: «Dal Renam (Registro dei mesoteliomi) piemontese, si apprende che, a Casale, c’è un numero anomalo di vittime del mesotelioma». Troppi rispetto al numero “atteso”. «Dobbiamo fare qualcosa per accertare se ci siano delle responsabilità». Ecco, il punto di partenza fu, semplicemente, questo. Solo che si preannunciava (e lo fu) un’impresa… semplicemente gigantesca.

Da allora sono trascorsi quasi 25 anni. E in un quarto di secolo, grazie ai documenti emersi nei procedimenti penali, alle carte trovate, sequestrate e studiate, alle numerose testimonianze, al coinvolgimento di esperti (scienziati epidemiologi, anatomopatologi, pneumologi, esperti in medicina del lavoro, in geologia, in ricostruzioni societarie) si è svelato, pezzo per pezzo, il quadro storico e operativo di una società, l’Eternit, di respiro internazionale, con stabilimenti in Italia e in vari continenti, strettamente inserita in un «cartello» mondiale di imprenditori dell’amianto. E la ricostruzione giudiziaria ha altresì consentito di scrivere pagine significative e vive della storia di Casale, del Monferrato e della sua gente.
Incalzati dalle domande di Manuele Degiacomi di Ecofficina, i tre magistrati hanno spiegato la differenza tra dolo e colpa, hanno parlato dell’individuazione del massimo vertice responsabile dell’Eternit (ruolo che le sentenze hanno riconosciuto), di prescrizione, parola, quest’ultima, che i casalesi associano all’esito deludente del Maxiprocesso Eternit Uno in Cassazione, nel 2014. Con la prescrizione decisa allora dalla Suprema Corte, l’imputato evitò di scontare la pena che gli era stata inflitta sia in primo che in secondo grado, ma, ha fatto puntualmente rilevare l’avvocata Esther Gatti che tutela il Comune di Casale costituito parte civile, «prescrizione non vuol dire assoluzione; se la Cassazione avesse voluto dichiarare l’imprenditore svizzero non responsabile, avrebbe dovuto assolverlo, invece non l’ha fatto». A dire che non lo si può definire innocente rispetto a quel disastro.
Nell’Eternit Bis, lo stesso imputato è stato giudicato per un altro reato e condannato in primo e in secondo grado (9 anni e mezzo), non più per disastro ambientale, ma per l’omicidio colposo aggravato di persone morte per il mesotelioma causato dall’amianto (sottratti i casi di prescrizione e di assoluzione, ne restano poco più di novanta rispetto ai 392 iniziali). Ora si è in attesa che la Corte d’Assise d’Appello di Torino depositi le motivazioni del verdetto. C’è grandissima attesa, soprattutto per capire in che modo i giudici torinesi di secondo grado spiegheranno la sussistenza del nesso causale. Aspetto difficilissimo, sul quale la Cassazione, fino a ora, non ha trovato convincenti le argomentazioni addotte dai giudici del filone Eternit Bis di Cavagnolo e del filone Eternit Bis di Bagnoli di Napoli, annullando le rispettive sentenze con rinvio.
La Corte, presieduta da Cristina Domaneschi, si è assunta il compito coraggioso di provare a motivare, a sua volta, il nesso causale nel filone casalese dell’Eternit Bis.
«E’ la prima fibra di amianto respirata, cioè la cosiddetta “fibra Killer”, che fa ammalare? La comunità scientifica dice no: c’è convincimento generalizzato tra gli scienziati che il rischio aumenta con l’aumentare dell’esposizione – ha detto la pm Compare -. Certo, non possiamo fare esperimenti sulle persone vive per accertare quando la fibra trasforma la cellula sana in cellula malata. Ma c’è uno studio recente sui topi – ha ricordato -, che ha consentito di provare che, se c’è maggiore esposizione all’amianto, aumenta il rischio di malattia e l’anticipazione della morte. Questo studio – ha aggiunto la pm – è il primo vero risultato di laboratorio e conferma quanto gli epidemiologi già avevano scoperto facendo un percorso a ritroso».

«Siate curiosi – è stata l’esortazione appassionata della pg Panelli agli studenti -: non vi accontentate mai di quanto vogliono farvi credere. Approfondite, cercate, studiate. E siate coraggiosi, per diventare portatori di una speranza possibile per l’affermazione dei diritti degli ultimi».
Comunque sia, hanno insistito i magistrati, i processi hanno rappresentato un monito per evitare che si ripeta ciò che, qui, già è accaduto.
Quel che è mancato, fino a ora, purtroppo, è un confronto con l’imputato. Un vis-à-vis con Stephan Schmidheiny. Lo ha rimarcato l’avvocata Gatti: «Ricordo le parole della Romana (Romana Blasotti Pavesi, la storica presidente di Afeva, ndr) che disse ripetutamente “Perché Schmidheiny non viene ai processi? Vorrei guardarlo negli occhi, chiedergli perché”».
I pm hanno ricordato che all’imputato è stata indicata anche la via della «giustizia riparativa», introdotta dalla riforma Cartabia, per cercare di cicatrizzare la ferita aperta che ancora sanguina nella collettività casalese. Al momento non c’è stata risposta al sollecito: «A fronte di questo invito – hanno detto i pm –, l’imputato è stato sordo». E anche muto: «Non ha detto niente di niente».
E, invece, Stephan Schmidheiny potrebbe percorrere questa strada (come unico riscatto etico possibile, indipendentemente dalle carte processuali), concentrandosi, finanziariamente e personalmente, sulla ricerca per trovare una cura.
Nonostante i sentimenti di «delusione e pessimismo su quanto potrà avvenire in futuro» sul fronte giudiziario, espressi da Pierluigi Buscaiolo, direttore de «Il Monferrato», l’insistenza della collettività casalese sul percorso riparativo non viene meno. E neppure la speranza. È un desiderio condiviso da molti anche se pronunciato a mezza voce per il timore di essere considerati ingenui o sprovveduti. Serve che soprattutto i ragazzi siano coraggiosi, come ha invitato la pg Sara Panelli, e diano fiato con tenacia alla speranza, perché la cura è l’unica vera via risolutrice e pacificatrice.
Nel frattempo, la consapevolezza verso i beni assoluti dell’Ambiente e della Salute, acquisita attraverso il percorso attivo avviato nel 2014 dalla Rete ScuoleInsieme (cui aderiscono tutte le scuole casalesi), servirà a impedire che si replichi un’altra tragedia come accaduto a Casale Monferrato.


A testimonianza del grandissimo lavoro svolto, è stata realizzata una preziosa pubblicazione dal titolo «10 anni di scuole insieme… e oltre – Fare memoria /Costruire il futuro – Un’esperienza di scuole in rete a Casale Monferrato». Oltre cento pagine di narrazione fotografica e didascalica delle numerose iniziative svolte: dall’Aula della 2 A (il maggior archivio sull’amianto al mondo, consultabile in presenza e da remoto), ai flash mob, agli incontri con scienziati, giornalisti, avvocati e magistrati, alle performances, alle mostre, agli spettacoli teatrali, ai concerti e così via. Il lavoro di raccolta e documentazione è stato coordinato da Assunta Prato, Rita Rosso e Rossana Gianella, con la collaborazione di Adriana Canepa, Andrea Agliotti, Marinella Saini, Silvia Saletta e gli studenti gli Istituti Superiori Balbo, Leardi Sobrero.
«Carissime ragazze e carissimi ragazzi – scrivono Prato, Rosso e Gianella in una lettera aperta, pubblicata nelle prime pagine del libro -, voi rappresentate la speranza concreta e tangibile di un mondo più consapevole, attento all’ambiente e alla salute delle persone, un grande esempio di convivenza civile, buona educazione e senso civico. Vi esortiamo a proseguire sulla strada dei ragazzi che vi hanno preceduto e a passare, poi, il testimone agli studenti del futuro».
«Non permettete – ha incalzato il sindaco Capra – che qualcuno faccia quegli errori che qui sono stati commessi, affinché mai più il nostro territorio sia martoriato come è accaduto con l’Eternit».
All’incontro erano presenti anche la presidente dell’Afeva Giuliana Busto, numerosi attivisti dell’associazione, tra cui Bruno Pesce, portavoce del Comitato Vertenza Amianto, Vittorio Giordano di Legambiente, i famigliari dell’ex sindaco Mascarino cui è intitolata l’Aula delle 2 A Amianto & Ambiente, allievi ed ex allievi portavoce delle loro esperienze, e, ovviamente, lo staff dei Degiacomi – Carlo, Manuele e Manuela – di Ecofficina, promotori e attuatori delle idee innovative che hanno accompagnato e continuano a sostenere il processo di maturazione e sensibilizzazione di ragazzi&docenti della Rete ScuoleInsieme.