E’ morta nel primo pomeriggio di mercoledì 11 settembre Romana Blasotti Pavesi. Aveva 95 anni, compiuti il 3 marzo scorso. Nel 1988 era stata nominata presidente dell’Afled (Associazione famigliari lavoratori Eternit deceduti) che, nel 1998, aveva modificato il nome in Afeva (Associazione famigliari e vittime amianto). Ha rivestito questo ruolo effettivo fino al 2015, mantenendo il titolo di presidente onoraria. Gli era subentrato Beppe Manfredi (morto di mesotelioma l’anno successivo), affiancato dal vice Giovanni Cappa (anch’egli affetto dalla stessa malattia, mancato nel 2020). Dal 2016 è presidente di Afeva Giuliana Busto, sorella di Piercarlo Busto, il Pica, noto atleta casalese stroncato dalla stessa patologia all’età di 33 anni. Romana Blasotti Pavesi era stata insignita dell’onorificenza di Commendatore della Repubblica per il suo alto impegno nella ricerca della giustizia e della verità come presidente dell’Associazione di familiari e vittime amianto. Il rosario sarà recitato questa sera, giovedì 12 settembre, alle ore 19, a Casale Monferrato, nella Parrocchia del Cuore Immacolato di Maria. Nella stessa chiesa, i funerali si svolgeranno domani, venerdì 13 settembre, alle 14,45. I consiglieri della coalizione civica «Casale davvero» hanno inoltrato al sindaco Emanuele Capra istanza di proclamare una giornata di lutto cittadino in occasione dei funerali: «Si tratta – scrivono nella richiesta, condivisa dal Pd cittadino – di una persona che è stata simbolo, in Italia e nel mondo, delle lotte all’amianto e che ha saputo comunicare alle generazioni più giovani con le sue intime sofferenze con spirito di resilienza e con una fortissima carica di positività ispirata da una sublime umanità». Il sindaco Capra e il presidente del Consiglio comunale Giovanni Battista Filiberti hanno accolto la proposta: «Un’iniziativa doverosa che unisce trasversalmente tutte le forze politiche, le associazioni e le realtà cittadine». Domani, in occasione dell’inaugurazione della Festa del Vino, sarà osservato un minuto di silenzio.
«Vergognatevi! Noi siamo più tanti di voi!».
Lo urlò a tutta l’Italia, in quei giorni difficili e dolorosi in cui i casalesi si trovarono a fronteggiare una insidia perversa, quella che, all’epoca, su «La Stampa» avevo definito «l’offerta del diavolo». Reminiscenza del catechismo d’infanzia: «Il diavolo – ci aveva ammonito il parroco – si presenta sotto mentite spoglie, ti attira mostrando solo la parte bella e luccicante, ma, state attenti, è un inganno». E così quella offerta di denaro, avanzata dal maggiore imputato del maxiprocesso Eternit per tacitare la voce del Comune di Casale Monferrato, imponendogli la rinuncia alla costituzione di parte civile (cioè, di fatto, imponendogli di non rappresentare più, mai più, la collettività martoriata dall’amianto), mi era venuto di chiamarla così.
L’«offerta del diavolo» aveva scombussolato gli animi.
Quello della Romana era sconquassato. Non si dava pace. Anzi, era molto arrabbiata. «Lo svizzero ha fatto una cosa vergognosa: si è comportato nello stesso modo subdolo con cui l’amianto uccide le persone, colpendole a casaccio» aveva dichiarato a «La Stampa», alla vigilia della sentenza di primo grado.
Nel frattempo, il Comune aveva rivalutato le tentazioni iniziali e aveva respinto l’offerta. «Ringrazio il ministro della Salute Balduzzi e quella grossa parte di città che ha manifestato un profondo senso civico» disse Romana Blasotti Pavesi. «Se si fosse accettato, avrei provato personalmente vergogna a presentarmi ai magistrati che hanno lavorato tanti anni per arrivare a questo momento. Oggi invece provo orgoglio».
Della vicenda si erano interessati i media nazionali, giornali e tivù. Era il tardo autunno del 2011. Gad Lerner, il 20 dicembre, alla tempesta scatenata dall’«offerta del diavolo» aveva dedicato una puntata de «L’Infedele», ospiti in studio e collegamento esterno con un nutrito gruppo di casalesi. Romana era in prima fila. Le misero un microfono davanti. La voce tuonò: «Vergognatevi!», un’invettiva severa nei confronti di coloro che non erano contrari all’ipotesi di accettare il «patto». Lei gridò per tutti: per quelli che erano morti e per quelli che, da vivi, piangevano i loro morti, e per quelli che, se pur ancora vivi, erano già malati di mesotelioma.
«Noi» urlò da far vibrare l’aria, «siamo più tanti di voi!».
La dottoressa Daniela Degiovanni, che ha condiviso con Romana decenni di vita, di lotta, di confidenze, le strinse un braccio. Confidò, più tardi: «Temevo le venisse un infarto».
La voce stentorea era uno dei caratteri distintivi della Romana, insieme agli occhi celesti, che sapevano essere luminosi come acquamarina o gelidi come ghiaccio, conficcati in un volto che la somma di sofferenze aveva trasformato in pietra scolpita.
Il cuore, poi, era fatto di una materia speciale, non saprei dire come, ma non avrebbe altrimenti potuto resistere alle bastonate inferte con accanimento dal destino. Lei stessa un giorno dichiarò: «Avevo persino pensato che la mia famiglia fosse vittima di un maleficio». Romana ha sepolto suo marito Mario, ex operaio dell’Eternit, nel 1983, sua sorella Libera, nel 1989, suo nipote Enrico Malavasi (50 anni, figlio di Libera), nel 2003, sua cugina Anna, e sua figlia Maria Rosa, nel 2004. Per tutti, un solo colpevole: l’amianto che ha figliato il mesotelioma.
E, all’inizio di quest’anno, ancora un lutto per Romana: anche il figlio Ottavio l’ha anticipata nell’Altrove.
Era diventata presidente dell’Afeva, l’associazione casalese che riunisce famigliari e vittime dell’amianto, nel 1988. Era morto Mario e lei non riusciva a farsene una ragione: non del lutto, un fardello che si portava intimamente appresso senza esporlo per pudore e riservatezza; ciò di cui non riusciva a capacitarsi è che si morisse a causa del lavoro. E, come Mario, altri mariti, e mogli, e figli, e fratelli. Una ingiustizia insopportabile. Le proposero quel ruolo rappresentativo. Lei ci pensò un attimo, poi disse: «Io non so se sono in grado, ma, se mi aiutate, sono pronta a lottare». Lo fece, presidente per quasi trent’anni, con integrità e senza cedimenti, affiancata e sostenuta da quelli che lei chiamava i suoi angeli custodi: Bruno Pesce e Nicola Pondrano. Ascoltava, si documentava, leggeva molto, chiedeva conto. Dove c’era da andare, andava: a parlare, a testimoniare, a spronare. Soprattutto i ragazzi: «Noi» diceva, «siamo arrivati fin qui, e, badate, abbiamo fatto molto. Ma non è finita. Adesso tocca a voi continuare». Il suo monito severo: «Dovete farlo, fino a che non ci sarà giustizia!».
Lo slogan «Eternit Giustizia» lo indossava con orgoglio: stampato sulla bandiera tricolore che sventolava sul suo terrazzo, in strada Cavalcavia, e sull’adesivo giallo appuntato sulla maglia.
La notte prima dell’udienza in cui il tribunale presieduto da Giuseppe Casalbore avrebbe letto il verdetto di primo grado del maxiprocesso Eternit, a Torino, la Romana era agitata. «Sono di carattere ottimista, ma non nascondo che l’ansia c’è» mi confidò, «ho preso alcune gocce di sonnifero». Ma reagì: «Non voglio lasciarmi prendere dalla paura, voglio pensare che sarà premiata la nostra attesa di giustizia. Chissà che finalmente io non riesca di nuovo a piangere».
Aveva smesso da tempo perché la scorta di lacrime si era esaurita del tutto quanto la figlia Maria Rosa le aveva confidato di essere anche lei «ammalata come papà». Mesotelioma. Che «era così bella Maria Rosa, e aveva bei capelli. Ed era così giovane». Quando morì aveva 50 anni. Lasciò un figlio Michele, a sua volta padre di Francesca, che ora ha dodici anni e che adora la nonna Romana che l’ha accudita fin da piccolina.
Al processo, Romana Blasotti Pavesi raccontò e la sua storia divenne patrimonio del mondo: in tutta Europa, in Brasile, negli Stati Uniti, in Canada, in Giappone e financo nei villaggi dell’Amazzonia: «Romana sei grande, Romana sei forte» scrivevano laggiù. Il mondo conobbe quella storia emblematica che era la copia del dolore di centinaia, migliaia di altre vite analogamente spente dalla pouvri.
Prima del giorno in cui avrebbe testimoniato, in aula non poteva entrare, è la regola. E per alcune udienze, dunque, fu costretta a rimanere fuori, riusciva a sapere quel che accadeva dentro solo tramite il racconto di altri. Un’anima in pena, su e giù per i corridoi, un po’ seduta sulle panche a dare quiete alle gambe doloranti.
Poi, il giorno di quel primo verdetto,13 febbraio 2012, si alzò in piedi e strinse la mano della Degio, l’oncologa Daniela Degiovanni che ha «visto» e curato tanti malati. Chiuse gli occhi, forse a sforzarsi di capire se tutto quel che si poteva fare si era fatto o forse a richiamare tutti i nomi e i volti cui aveva promesso di lottare per la giustizia.
Seguirono, negli anni a venire, il processo d’Appello e, poi, in Cassazione. Quel mattino a Roma non c’era solo l’ansia: Romana era inquieta. E, nel pomeriggio, quando ormai quel che s’era da dire s’era detto, nella lunga attesa si ammutolì.
Eravamo sedute su una panca, un po’ defilata e scomoda, una accanto all’altra, in penombra, senza parole, gli occhi puntati al pavimento, ostinate a non lasciarci trascinare da nessuna tentazione di fare previsioni. A una cert’ora della sera, arrivò il segnale: ci chiamarono nella grande e sontuosa aula e la Corte di Cassazione si pronunciò per la prescrizione. Tutto cancellato. Seguirono subbuglio, voci indignate. La cercai nella confusione e la ritrovai, in piedi, in quell’angolo defilato che avevamo occupato nell’attesa. Aveva lo sguardo smarrito e asciutto. «Abbiamo lottato così tanto per arrivare a questo risultato?» sussurrò. Il figlio Ottavio la trascinò via perché era troppo provata. Il giorno dopo, con lucidità lei commentò: «La Cassazione ha deciso così perché non conosce la storia di Casale». Voleva dire che quei giudici, così lontani da qui, non conoscono la paura costante di ammalarsi, l’angoscia di chi si ammala, la sofferenza di chi rimane. E, tuttavia, non si sentì sconfitta: «Noi» disse risoluta, «noi abbiamo convinto il mondo che abbiamo ragione».
Ammaccata, ma non piegata. Alla sindaca Titti Palazzetti un giorno disse: «Quand’è che inauguriamo il parco al posto dello stabilimento? C’è voluto tanto tempo per bonificarlo e abbatterlo, adesso è ora di trasformarlo». C’eravamo state, insieme, nello stabilimento abbandonato e ancora in piedi, molti anni prima, in un imbrunire autunnale che rendeva ancor più lugubre il luogo. Eravamo un gruppetto, anche di sindacalisti, ex lavoratori e famigliari di lavoratori, insieme al dottor Luigi Mara che aveva chiesto e ottenuto il permesso di fare un sopralluogo. Indossavamo mascherine e tute bianche gonfie e fruscianti, sembravamo fantasmi immersi in una semioscurità verdognola. Qualcuno azionava una torcia che saettava sulle pareti o contro i vetri rotti. Romana voleva sapere dove aveva lavorato Mario, «qui c’era questo reparto» spiegava uno, «qui si faceva quest’altro» aggiungeva un altro. Lei insisteva per vedere il «Cremlino», un postaccio nel seminterrato, dove la polvere ti sembrava di mangiarla, non soltanto di respirarla. «Ecco, era lì» dissero quelli che ci avevano lavorato, «ci mandavano chi era in punizione, le “teste calde” che magari si erano lamentate per le condizioni di lavoro». E Romana si affacciò a un buco aperto nel pavimento che si perdeva in un fondo nero, fosco, senza respiro.
La sindaca Palazzetti aveva promesso a Romana che il Parco Eternot sarebbe stato inaugurato. E così avvenne, a settembre 2016, con la benedizione laica del presidente della Repubblica Sergio Mattarella. Nel parco, oltre alla pista di atletica, ai prati e alle piante, alle panchine e ai giochi per i bambini, trovò spazio un monumento vivente, ideato dall’artista Gea Casolaro, il Vivaio della Davidia involucrata: le cosiddette «piante dei fazzoletti», costantemente curate da un gruppo di volontari, a cui si attinge ogni anno per assegnare il Premio Vivaio Eternot.
Fu inaugurato anche un altro monumento, opera dell’artista Italietta Carbone: raffigura una bambina che corre facendo alzare in volo un aquilone, simbolo di un’anima libera. Quella statua è per tutti «l’aquilone di Romana»: Romana, la ragazza slovena, arrivata diciassettenne a Casale, che, mantenendo il suo spirito libero e indomito, ha fatto tanta storia in questa città.
Rispettosa e gentile sempre (salutava e stringeva la mano ai difensori dell’imputato svizzero con garbo sincero, perché «siamo avversari, non nemici»), non ha mai abbassato lo sguardo, convinta e orgogliosa di portare avanti una giusta causa.
Avrebbe desiderato trovarsi faccia a faccia con l’imprenditore svizzero. «Vorrei guardarlo negli occhi e chiedergli perché…». Ma Stephan Schmidheiny non si è mai palesato. Se l’avesse fatto, se avesse trovato il coraggio di scrutare gli occhi celesti della Romana, avrebbe compreso qual è la sua unica via salvifica, la possibilità di riscatto: finanziare la cura. Può ancora farlo, da qualche parte Romana lo verrebbe a sapere e finalmente potrebbe piangere di sollievo, liberamente.
Translation by Vicky Franzinetti
Romana Blasotti Pavesi has left us
Silvana MOSSANO
Romana Blasotti Pavesi passed away on Wednesday, September the 11th, in the early hours of the afternoon. She was 95 years old, her last birthday had been on the 3rd of March 2024. In 1988 she was appointed president of Afled (Association of Families of Deceased Eternit Workers) which, changed its name to Afeva (Association of Families and Victims of Asbestos) in 1998. She remained president until 2015, then was made honorary president. She was succeeded by Beppe Manfredi (who died of mesothelioma the following year), with Giovanni Cappa as vice-president. He too suffered from the same disease, and died in 2020. Since 2016, Giuliana Busto, sister of Piercarlo Busto, aka il Pica, a well-known Casale athlete who was struck down by the same disease at the age of 33, has been president of Afeva. Romana Blasotti Pavesi was made of Commendatore della Repubblica (Order to the Merit of the Republic) for her great commitment in seeking justice and truth as president of the Associazione di familiari e vittime amianto (Afeva – Association of asbestos relatives and victims). The rosary will be this evening, Thursday 12 September, at 7pm, in Casale Monferrato, in the Parish of the Immaculate Heart of Mary. In the same church, the funeral will take place tomorrow, Friday 13 September, at 2.45pm. The councillors of the ‘Casale davvero’ coalition have petitioned the mayor Emanuele Capra to proclaim a day of city mourning on the occasion of the funeral: ‘We are talking about – they write in the request, also subscribed by the city’s PD (Democratic Party) – a person who was a symbol, in Italy and around the world, of the struggle against asbestos and who was able to communicate to the younger generations his intimate suffering with a spirit of resilience and a very strong charge of positivity inspired by a sublime humanity’. Mayor Capra and City Council President Giovanni Battista Filiberti welcomed the proposal: ‘A dutiful initiative that unites all political forces, associations and city associations’. Tomorrow, a minute’s silence will be observed at the inauguration of the Wine Festival.
‘Shame on you! We are more than you are!’ She shouted this to the whole of Italy, in those difficult and painful days when the people of Casale were faced with a terrible choice, which, at the time, I called ‘the devil’s offer’ in ‘La Stampa’ . Reminiscent of childhood catechism: ‘The devil,’ the parish priest had warned us, ‘presents himself in disguise, he attracts you by showing only the beautiful and shiny side, but, beware, he will deceive you’. That offer of money, made by the main defendant in the Eternit maxi-trial to silence the voice of the municipality of Casale Monferrato, would have meant abandoning any civil action in exchange that is, forcing Municipality would no longer, or ever again, represent the community tormented by asbestos: that is why I called it the devil’s offer. Many people were upset, Romana was upset. She was not at peace. In fact, she was very angry. ‘The Swiss, as he was known, did a shameful thing: he behaved in the same devious way just like asbestos did killing people, by killing at random,’ she had told ‘La Stampa’ on the eve of the verdict of the court of first instance.
In the meantime, the municipality had re-evaluated the initial temptations and rejected the offer. ‘I thank Health Minister Balduzzi and that large part of the city that showed a deep civic sense,’ Romana Blasotti Pavesi said. ‘Had it been accepted, I would have personally felt ashamed to present myself to the magistrates who have worked so many years to reach this moment. Today, instead, I feel proud.
The national media, newspapers and TV stations were interested in the case. It was the late autumn of 2011. On December the 20th, journalist and anchorman Gad Lerner, had dedicated an episode to the storm unleashed by the ‘devil’s offer’, with studio guests and an external link to a large group of people of Casale. Romana was in the front row. They put a microphone in front of her. Her voice thundered: ‘Shame on you!’, an attack against those who were against accepting the ‘offer/pact’. She shouted for everyone: for those who had died and for those who, while still alive, mourned their dead, and for those who, while still alive, were already suffering from mesothelioma. ‘there are more of us than of you,’ she shouted to make the air vibrate!’
Dr Daniela Degiovanni, who had shared decades of life, struggle and confidences with Romana, squeezed her arm. She confided later: ‘I was afraid she was going to have a heart attack’.
Romana’s powerful voice was one of her distinguishing features, along with her sky blue eyes, which could be as bright as aquamarine or as icy as a glacier, set in a face that all that of suffering had turned into carved stone.
Her heart was made of a special material, I cannot say how, nor why but it could not otherwise have withstood the blows fiercely inflicted by fate. One day she said: ‘I had even thought that my family had fallen the victim of an evil spell’. Romana buried her husband Mario, a former Eternit worker, in 1983, her sister Libera, in 1989, her nephew Enrico Malavasi (50, Libera’s son), in 2003, her cousin Anna, and her daughter Maria Rosa, in 2004. For all of them, only one culprit: mesothelioma caused by asbestos. At the beginning of this year, yet another loss when her son Ottavio also predeceased her.
Romana in front of the Eternit plant (before it was cleaned up and demolished), between Bruno Pesce and Nicola Pondrano
She had become president of Afeva, the Casale association of the families and victims of asbestos, in 1988. Mario had died and she couldn’t come to terms with it: not with the mourning, a burden she carried intimately without exposing it out of modesty and reserve; what she couldn’t come to terms with was that people died because of their work. Like Mario, other husbands, and wives, and children, and siblings. An unbearable injustice. They offered her the role to represent them. She thought about it for a moment, then said: ‘I don’t know if I am able, but if you help me, I am ready to fight’. She did so, and remained the president for almost thirty years, with integrity and without relenting, flanked and supported by what she called her guardian angels: Bruno Pesce and Nicola Pondrano. She listened, she documented, she read a lot, she asked to know what was happening. She went where needed: to speak, to testify, to spur people on. She was especially keen to speak to youngsters: ‘We,’ he would say, ‘have come this far, and, mind you, we have done a lot. But it’s not over. Now it is your turn to continue. She gave a stern warning: ‘You must fight, until we have justice!’
The house in Strada Cavalcavia, where Romana lived, with flags on the balconies
She wore the slogan ‘Eternit Justice’ proudly: printed on the three coloured (Italian) flag that flew on her terrace, in via Cavalcavia, and on the yellow badge pinned to her shirt.
The night before the hearing in which the court presided over by Giuseppe Casalbore would read the first-degree verdict of the Eternit maxi-trial, in Turin, Romana was restless. ‘I’m an optimist, but I can’t hide my level of anxiety,’ she confided, ‘I’ve taken a few drops of sleeping pill’. But she reacted: ‘I don’t want to let fear get the better of me, I want to think that our wait for justice will be rewarded. Who knows, maybe I will finally be able to cry again‘.
She had stopped crying long before the trial, because she said her supply of tears had been completely exhausted when her daughter Maria Rosa had told her mother that she too was ‘sick like dad’. Mesothelioma. That ‘she was so beautiful Maria Rosa, and had beautiful hair. And she was so young’. When she died, she was 50 years old. Maria Rosa left behind a son Michele, who in turn had a daughter, Francesca, now 12 years old: she adored her great grandmother Romana who looked after her when she was a little child.
At the trial, Romana Blasotti Pavesi told her story which travelled the world: all over Europe, in Brazil, in the United States, in Canada, in Japan and even in the villages of the Amazon: ‘Romana you are great, Romana you are strong’ they wrote there. The world knew that emblematic story that was a copy of the pain of hundreds, thousands of other lives similarly killed by the dust, pouvri as it was known in the local dialect.
The days before speaking as a witness, she could not enter the courtroom, as is the rule. So she was forced to wait outside, she could only know what was going on inside through the stories of others. A soul in pain, pacing up and down the corridors, at times sitting on the benches to give her aching legs a rest.
Romana holds Degio’s hand, waiting for the first-degree verdict, in Turin in 2012
Then, on the day of that first verdict, 13 February 2012, she stood up and held Degio’s hand as the oncologist Daniela Degiovanni who has ‘seen’ and treated so many patients was known locally. She closed his eyes, perhaps wondering if all that could be done had been done, or perhaps recalling all the names and faces she had promised she would fight for justice.
In the years that followed there was an Appeal Trial and then the Court of Cassation in Rome. That morning she was more than anxious: Romana was restless. In the afternoon, when all that had to be said had been said, she fell silent in the long wait.
Romana in front of the Supreme Court.
We were sitting on an uncomfortable bench, a little out of the way, side by side, in semi-darkness, speechless, our eyes pointed at the floor, stubbornly not letting ourselves be carried away by any temptation to make predictions. At a certain point of the evening, the signal came: we were called into the large and sumptuous courtroom and the Court of Cassation ruled on the statute of limitations. Everything was quashed, cancelled. An uproar followed, indignant voices. I looked for her in the confusion and found her, standing in that hidden corner we had occupied while waiting. Her gaze was bewildered and dry. ‘We fought so hard to get to this result?’ she whispered. Her son Octavius dragged her away because she was too tired. The next day, with lucidity she commented: ‘The Cassation decided this way because they don’t know the history of Casale’. She meant that those judges, so far from here, do not know the constant fear of falling ill, the anguish of those who fall ill, the suffering of those who remain. And yet, she did not feel defeated: ‘We’, she said resolutely, ‘we have convinced the world that we are right’. Bruised, but not bent. One day she said to Mayor Titti Palazzetti: ‘When are we going to inaugurate the park where the factory once stood? It took so long to reclaim it, decontaminate and tear it down, now it’s time to transform it’. We had been there, together, visiting the abandoned plant still standing, many years before, in an autumn dusk that made the place look even more gloomy. There was a small group of us trade unionists, former workers and family members of workers, together with Dr Luigi Mara who had asked and obtained permission to make an inspection. We wore masks and puffy white overalls; we looked like ghosts immersed in a greenish semi-darkness. Someone had a torch and shone it on the walls or against broken glass. Romana wanted to know where Mario had worked, ‘this was his shopfloor ‘explained one. She insisted on seeing the ‘Kremlin’, a bad place in the basement, where the dust felt like you were eating it, not just breathing it. ‘That’s where it was,‘ said those who had worked there, “they used to send those who were considered the ”hotheads’ who had perhaps complained about the working conditions.’ And Romana looked out at a gaping hole in the floor that was lost in a black, bleak, breathless background.
The President of the Republic Sergio Mattarella shaking hands with Romana Blasotti Pavesi at the Eternot Park.
Mayor Palazzetti had promised Romana that the Eternot Park would be finished. And so it was, in September 2016, in the presence and with the blessing of the President of the Republic Sergio Mattarella. The park has an athletics track, lawns and plants, benches and games for children. There is also a living monument, created by the artist Gea Casolaro, the Davidia involucrata nursery: the so-called ‘handkerchief plants’, constantly cared for by a group of volunteers, the prize called the Eternot Nursery Prize awarded every year.
Romana, in the front row, next to Giuliana Busto; behind them, the statue of the girl with the kite.
Another monument, by artist Italietta Carbone, was also inaugurated: it depicts a little girl running while flying a kite, the symbol of a free soul. Everyone calls it ‘Romana’s kite’: Romana, the girl from Slovenia who arrived in Casale at the age of seventeen and who, maintaining her free and indomitable spirit, shaped so much of this town’s history. Respectful and polite at all times (she greeted and shook hands with the defenders of the Swiss defendant with sincere politeness, because ‘we are adversaries, not enemies’), she never lowered her gaze, convinced and proud of advancing a just cause.
She would have liked to come face to face with the Swiss entrepreneur. ‘I would like to look him in the eye and ask him why…’. but Stephan Schmidheiny decided not to ever come forward. If he had done so, if he had found the courage to peer into Romana’s sky blue eyes, he would have understood what his only path to salvation was and is: financing a treatment, the cure. He could still do it, somewhere Romana would hear about it and she could finally weep with relief, freely.
Riposa in Pace cara Romana Bandiera alla lotta al mesoteliima. Grazie a te Silvana “Sentinella” e grande “cronista “
di questa triste storia senza fine …e a quanti come te hanno tenuto accesa la luce su questo grande problema … il direttore , il don …continuiamo a lottare … GRAZIE
Sono orgoglioso di esserle stato vicino in tutte queste vicende a nome personale e della uil. Luigi Ferrando
Come al solito limpido e sorridente e triste ripercorre questa strada ma e più triste non essere conoscente .
Ciao Romana, un abbraccio e un grazie per il tuo sorriso e il tuo coraggio
Il giorno dell’inaugurazione del Parco EterNot Romana ed io eravamo talmente emozionate che un paio di volte abbiamo sbandato mentre percorrevamo il sentiero verso l’Aquilone. Io avevo sorretto lei e lei me. Poi aveva preso la parola davanti a tanta gente e il microfono gracchiava. Si sentiva male. Al termine mi venne vicino e le dissi “il microfono non funzionava, ma la Romana non ha bisogno di strumenti per essere sentita!”. Poi toccò a me e il microfono era completamente spento. Parlai col massimo del volume che la mia voce consentiva e quando terminai, fu lei a dirmi “le parole erano poco comprensibili, ma io le ho comprese bene dentro di me. E chi voleva capire, ha capito comunque”. Ecco, ci accomunava questo desiderio di “esserci”, di dire la nostra, di fare la nostra parte dove sentivamo che era utile farla. C’era una profonda e autentica complicità tra noi. L’abbiamo mantenuta anche negli ultimi anni, quando la Romana aveva perso la memoria, ma non l’autorevolezza dello sguardo e della persona. Come quel giorno al Parco, non c’era bisogno di altisonanti discorsi per vedere in lei una Donna che si era assunta, anche per tanti altri, la responsabilità di occupare un ruolo ben definito nel mondo, di mettersi al servizio di una causa, di esercitare fino in fondo la meravigliosa opportunità di essere Umana
Ciao Silvana,
Hai scritto un pezzo bellissimo, in ricordo di Romana, la “nostra” Romana, un esempio di fiera lealtà in difesa dei diritti e della giustizia. Ho sempre ammirato la sua forza di non piegarsi sotto il peso del dolore, di non passare dalla parte del torto, di fermarsi a chiedere ed esigere giustizia. Quella giustizia che dobbiamo continuare a esigere nel suo nome e nel nome di tutte le persone che le sono state accanto e l’hanno preceduta nell’ultimo viaggio: Mariuccia Ottone, Beppe Manfredi, Giovanni Cappa, Enzo Ferrari… per rimanere a Casale.
Ciao Romana, sei stata e resterai mia maestra di vita.
Purtroppo non potrò esserci per l’ultimo saluto, ma il mio cuore sarà lì, accanto a tutte e tutti voi. Paola Ugliano
Grazie Silvana, per questo ricordo meraviglioso.
Grazie Silvana!
Davvero grande la Romana!
Una donna semplice, che di fronte ad una immane tragedia e ad una situazione molto difficile e complessa, ha voluto e saputo dare un contributo importantissimo per la lotta della nostra comunità contro l’amianto criminale. Certamente grazie alla sua fortissima testimonianza delle sue enormi sofferenze e alla sua altrettanto determinazione di “non molliamo”. Ricordo ,dei tanti anni di lotte, soddisfazioni e delusioni, quando, anche di fronte alla perdita dei suoi cari per l’amianto dell’Eternit, diceva ” ..non è giusto! e allora dobbiamo andare avanti..”
Giustizia – Ricerca – Bonifica : andiamo avanti Romana, anche nel tuo nome.
Mai dimenticherò Romana e custodirò caro il calore di una carezza che mi fece alla fine della presentazione del progetto mesotelioma supportato dai fondi delle transazioni con Schmideiny! Anche per Romana non mollo fino a che non vedremo una luce.
Grazie Silvana per come hai ricordato Romana. Conoscerla per me era stata una grande emozione.
Grazie Silvana per darmi la forza che oggi non avevo nel ricordare questa meravigliosa donna che ho amato per la sua forza e impegno…mamma di una mia cara amica e compagna di oratorio al Ronzone quartiere dove sono cresciuta ….presa dal terribile male di Casale…con me porto ancora il ricordo della sua bontà di Romana e l amicizia con Mariarosa accompagnata dal profumo dello strudel che preparava quando noi ragazze si veniva a casa tua..è dentro il mio cuore e li resterà con un posto di onore e orgoglio….da Te ho imparato tanto…la più importante non smettere di combattere per un mondo migliore …
Ho nei miei ricordi le domeniche passate a giocare e fantasticare io e Mariarosa …quando la accomoagnavo a casa eri li a aspettarci e gia allora riuscivi a farci parlare di cose importanti noi adolescenti impaccciate …io più della tua amata figlia…arrivata dal Veneto mi hai aiutato a integrarmi e mi dicevi …sai Marinella anch’io arrivo da una terra vicina alla tua e mi facevi sentire bene…avrei molto da dire…la tua bella e importanzte vicinanza nel mio.lavoto alla Cgil…ma tu sai gia tutto …ciao Romana ti ho sempre voluto bene e sempre sarà così…ora dovunque andremo dopo la nostra vita terrena di certo con te sarà un posto più bello e giusto…ti stringo forte…❤️
Mi sono tanto emozionata a pensare come da tanto dolore a volte possa nascere tanta forza e voglia di combattere.Donna eccezionale da cui le nuove generazioni possano trarre esempio.me lo auguro.