Quest’anno, niente canzoni. Corde vocali in sciopero. Sono in corso trattative per provare a riattivarle, ma, per il momento, il negoziato è in stallo. E, allora, che dire? Se non si può cantare, si può però narrare storie in musica. E’ sbucata fuori, di recente, una fotografia che aveva scattato, un anno fa, in tempo natalizio, il mio amico Terry: un clic col telefonino. Me l’aveva mandata per condividere lo stupore e l’emozione suscitati da un gesto di genuina umanità che l’immagine ha fortunatamente immortalato. Quello scatto prezioso ha ispirato, ora, questa StOriA CoSì che, in parte, è vera e, in parte, è immaginata. Magari contiene tante storie mescolate insieme e ciascuno, leggendo, potrebbe trovare una scheggia di verità in cui immedesimarsi. Ma in fin fine che importa se la storia sia vera per davvero o soltanto verosimile? Il bicchiere di tè caldo versato dal thermos è verissimo, documentato, appunto, dalla fotografia! E, poi, si racconta di un clochard che suona il violino. E di una donna non amata che si ribella, e di un’altra che, lasciandosi amare, vince la disperazione. E c’è una bambina stupenda che balla e una stella speciale che canta canzoni (vere le note, ma le parole sono inventate!). Più di tutto, c’è il preziosissimo thermos di tè! Sia come sia, «’na storia béla, fa piasì cüntela». Per renderla più bella, abbiamo disteso, lungo la narrazione, un tappeto di note musicali. E’ il nostro augurio, in parole & musica, per sperare nella fine indispensabile delle tempeste bellicose, rancorose e distruttive che animano questo tempo e fanno tanto male. Ma se un vecchio clochard suona il violino… se una bambina si ferma ad ascoltarlo… se un thermos di té lo scalda… se poi, addirittura, una stella (seppur un po’ rauca) si mette a cantare… bé, allora…
Silvana & Sergio
Il testo della storia è di Silvana Mossano, anche voce narrante.
I sottofondi musicali sono interpretati da Sergio Salvi al piano digitale.
I brani suonati sono:
Serenata (Franz Schubert)
Il mio canto libero (Mogol- L.Battisti)
Hymne a l’amour (Edith Piaf- Marguerite Monnot)
Violino Tzigano (B. Cherubini- C.A.Bixio)
C’era una volta il West (E. Morricone)
Danza delle ore (Amilcare Ponchielli); testo in italiano di S. Mossano
Que serà serà (J. Livingston-R Evans); testo in italiano di S. Mossano
Per ascoltare la narrazione in musica, basta cliccare qui sotto su ogni traccia. Si possono anche scaricare i files su una chiavetta e ascoltare in auto o dove si vuole.
Per leggere la storia, scorrere più sotto: c’è l’intero testo suddiviso in capitoli, ognuno inizia con il titolo del brano musicale.
Biagio e il thermos di te

Se gli avessero domandato perché ogni pomeriggio si trascinava proprio fino a quel pilastro di pietra grigia sotto i lunghi portici della città, tirando un trolley blu e rosso con una mano e stringendo una custodia sagomata e rigida nell’altra, con Leo che gli scodinzolava tra i passi strisciati dentro grossi scarponi, Biagio avrebbe risposto semplicemente che un posto valeva l’altro per quel che aveva da fare lui.
E che cosa mai aveva da fare lui?
«Una cosa importantissima» avrebbe risposto solennemente scandendo le sillabe: «Os-ser-va-re l’u-ma-ni-tà».
Bé, è forse questa un’attività?
Biagio avrebbe ribattuto con puntiglio: «Ci vuole attitudine a studiare la postura di chi passa: lento o frettoloso, svogliato o affannato, curioso o indifferente… Ci vuole talento, ecco, sì, talento, a scrutare i volti: sereni (sempre più rari, in verità) o corrucciati (decisamente i più frequenti), immusoniti e incupiti. Sì, pure nei giorni di festa, e anche in questo tempo di Natale tra luci ghirlande e buoni propositi, scorrono processioni di facce ingrugnite!
Biagio aveva l’intuito e, in più, si era fatto l’esperienza: anni e anni di esperienza a osservare il passaggio e il passeggio.
Aprì il trolley, un po’ spelacchiato, ma la cerniera era buona e le rotelle ancora scorrevoli.
Estrasse un cuscino che pareva grigio, anche se forse era solo ingrigito di polvere e di tempo vetusto, e lo appoggiò sul pavimento contro la piglia. Poi, tirò fuori un plaid, pure quello grigio neutro, reperito nel suo vagabondare tra i bidoni della rumenta: si trovano cose interessanti tra gli scarti, a saperle cercare. Aveva trovato anche le stoviglie per Leo: una ciotola rossa per il cibo e una di metallo per l’acqua.
Accostò il trolley su un lato alla sua destra e appoggiò a terra la custodia del violino alla sua sinistra, poco distante dalle ciotole. In una delle due, versò un pugno di crocchette, nell’altra metà bottiglietta d’acqua che aveva riempito a una fontanella pubblica.
Si sedette, si guardò intorno: un sorriso alla commessa oltre il vetro del negozio di profumi, un cenno del capo al venditore di cravatte, un tocco militare alla tempia, spedito al ragazzo di colore che vendeva calze, accendini, ombrelli, fazzoletti, magliette stipati in due borsoni di plastica. «Amico» rispose quello, mostrando la chiostra di denti bianchissimi.
Biagio estrasse il violino dalla custodia e, facendo scorrere l’archetto sulle corde, iniziò scrupolosamente la sua osservazione quotidiana.

Notò una donna piccola, un po’ rotondetta, con un sorriso mesto che, per un istante, si illuminò davanti alla vetrina della profumeria. Inspirò l’effluvio che usciva dalle porte aperte… Accidenti, a questo brutto vizio, ormai di moda, di tenere le porte dei negozi spalancate in pieno inverno per spronare i clienti a entrare… Uno spreco in spregio alla crisi climatica! Dovrebbero vietarlo, dovrebbero…
La donna si fermò davanti all’ingresso e socchiuse gli occhi, ma l’uomo al suo fianco, massiccio e spavaldo, e seccato, molto seccato, le afferrò un braccio e la tirò via. Lei per qualche metro si lasciò trascinare rassegnata, poi, di colpo, si ribellò: puntò i piedi, respirò la musica del violino e si divincolò. L’uomo, sempre più contrariato, tentò nuovamente di afferrarla, ma lei lo spinse via. Si sfilò un anello dal dito e glielo lanciò. Frugò nella borsa e gli buttò addosso un mazzo di chiavi. «Basta!» gridò, l’urlo si perse sotto la volta del colonnato. Biagio trattenne il respiro e aumentò l’intensità della musica. Lei gli sorrise. L’uomo raccolse le chiavi, «puttana» sputò con cattiveria, ma lei non lo udì perché, a occhi chiusi, ascoltava rapita la melodia de «Il mio canto libero».
Biagio ricordò quando l’Orchestra Classica di T. aveva tenuto il Gran concerto di Natale nell’Auditorium della capitale. Biagio era primo violino. Se l’era meritato quel posto, con lo studio, i sacrifici e una capacità interpretativa che incantava il pubblico. Forse per questo Sophie se n’era innamorata. La bella clarinettista francese si era innamorata di lui. Quando era nata la loro bambina, proprio Biagio, in omaggio allo strumento di lei, aveva voluto chiamarla Claire Annette.

Una ragazza avanzava svogliatamente, trascinando pesanti anfibi con la suola a carrarmato sotto i portici addobbati con festoni di pino, ghirlande dorate, palle e nastri rossi. Sul volto luccicavano diversi piercing … Biagio scorgeva soltanto il lato destro del profilo… ne notò alcuni all’orecchio, al naso, al labbro superiore… Si domandò se anche nelle parti intime… Soffocò un sorrisetto e si concentrò sulla musica.
Ma trattenne il respiro e si incupì, quando vide la ragazza coi piercing portarsi le mani al volto e vuotare singhiozzi attutiti tra le dita tatuate. Poi, con uno scatto, agguantò la berretta rosa shocking lasciando scoperto il cranio calvo e la buttò per terra.
Il ragazzo – anche lui con piercing e tatuaggi sul collo e sulle mani – si chinò lentamente, raccolse la berretta rosa. Biagio deglutì sgomento: che intenzioni aveva quel tipo? Anche Leo si irrigidì, drizzò le orecchie e sollevò la coda, pronto a scattare.
Ma l’allampanato giovanotto allargò le braccia come un buffo spaventapasseri, roteando tra le dita la berretta rosa. Poi, lentamente e via via sempre più veloce, prese a danzare girando in tondo sulle note di Himne a l’Amour. Inno all’Amore. Biagio fece vibrare le corde come non mai.
Nel fitto viavai dello shopping natalizio sembrava fossero rimasti soltanto loro: la ragazza, il ragazzo, Biagio e Leo e quella musica che li teneva sospesi in un mondo indipendente e sovrano. La ragazza tirò su col naso, si pulì con il dorso della mitena che le avvolgeva parte della mano e si precipitò verso il ragazzo. Si lasciò andare contro di lui, che la abbracciò e le disse «sei bellissima, sei bellissima». Solo un sussurro, ma Biagio lesse il labiale e intensificò la musica.

Claire Annette, no, non era stata protetta. Anzi. Quel mascalzone l’aveva trascinata contro la sua volontà in una insensata gara in auto tra sciagurati. La folle corsa era terminata contro un parapetto di cemento armato.
Biagio aveva riconosciuto la salma di Claire Annette all’obitorio. Biagio l’aveva vegliata ogni istante, due giorni e due notti, suonando il violino… «Se un segreto dolor, fa tremar la mia mano…». Biagio aveva organizzato il funerale. Biagio aveva aspettato che tutta la terra coprisse la bara. Biagio aveva odiato quel farabutto.
E poi aveva cominciato a stordirsi con l’alcol. Aveva perso la voglia di mangiare, e di dormire, e di suonare. E sua moglie l’aveva sostituito con il primo violino che aveva preso il suo posto in Orchestra. Era stato pure allontanato dalla scuola e dai suoi alunni.
Ed era finito per strada.

Biagio aveva cominciato a girovagare, a cercare posti più o meno riparati dove dormire. Un giorno aveva incontrato Leo: un bastardino, solo come lui, e indaffarato, anche lui, a rovistare attorno a un cassonetto. Erano diventati una coppia.
Superata la vergogna, avevano varcato insieme la porta della mensa alla Caritas. Occupavano sempre lo stesso posto d’angolo, e glielo lasciavano perché, in cambio di quel privilegio, Biagio, a fine pasto, attaccava a suonare il violino e tutti si commuovevano e si zittivano con gli occhi lucidi, soprattutto quando intonava «C’era una volta il West». A dire il vero, poco contavano l’Ovest o l’Est. Per tutti quella melodia struggente era il «C’era una volta» delle loro vite. L’aggancio a un passato sfocato, in cui, tra i flutti torbidi, galleggiavano piccole tremolanti faville di memorie lontane.

Ogni pomeriggio, Biagio si accucciava sotto i Portici Lunghi, la schiena appoggiata al pilastro di pietra grigia, un plaid sulle ginocchia, Leo tra i suoi piedi a sorvegliare la scatola delle elemosine.
E suonava, suonava, suonava anche se le dita erano ghiacciate.
Scrutava i passanti, le vite dipinte sui volti e disegnate dall’incedere dei passi.
Coltivava l’attesa. Di che cosa? Di veder spuntare, all’imbrunire, una stella nello spazio di cielo che si era ricavato uno scorcio geometrico tra le sagome di antichi palazzi.
Ecco il suo segreto.
Biagio era convinto che quella stella fosse Claire Annette che sorgeva ogni sera per lui, per andarlo salutare.
Una bambina avanzò saltellando nel suo gonfio giubbotto, con un bizzarro cerchietto rosa tra i capelli indisciplinati. Si fermò davanti a lui.

Biagio intonò «La danza delle ore». La suonò con gli occhi socchiusi e un sorriso stropicciato tra baffi e barba. La suonò per la piccola sconosciuta proprio come un tempo l’aveva suonata chissà quante volte per Claire Annette.
Aveva addirittura scritto le parole in italiano e Claire Annette cantava danzando: «Se ti svegli/ la mattina/ e il morale è già in cantina/ che la notte birichina/ ti ha portato a spasso per un po’…».
Allo stesso modo, la bambina con il cerchietto rosa ritmava la musica saltellando negli stivaletti neri a disegni bianchi. Biagio non sentiva più nessun frastuono intorno, non vedeva più la folla affannata che sfrecciava avanti e indietro. Nella fessura sottile tra le palpebre vedeva solo la bambina felice. E udiva la voce di Claire Annette: «Ma se senti/ una canzone/, una musica brillante/, canta e balla con passione/ che la iella e il malumore sfumerà».
Cessata la musica, la piccola si voltò di scatto e corse verso i genitori poco lontano. Disse qualcosa gesticolando. Il padre si sfilò lo zaino dalle spalle ed estrasse un thermos. Svitò il tappo e riempì di tè caldo il bicchiere di plastica che la madre aveva allungato. La bambina lo afferrò e, adagio adagio, … «stai attenta a non versarlo, mi raccomando!» … lo portò al vecchio violinista che aveva suonato per lei.
Biagio ringraziò commosso. Si portò il bicchiere fumante alle labbra. Mai bevanda fu più dolce.
«Grazie, bambina» mormorò. Leo si strusciò contro le gambette della piccola. «Torno domani» cinguettò lei e se ne andò con la testa voltata all’indietro finché fu inghiottita dalla calca.

Leo annusò il bicchierino di plastica posato a terra, poi si accovacciò tra gli scarponi di Biagio, abbassò le orecchie e chiuse gli occhi.
S’era fatto buio. La stella apparve nel punto esatto dove Biagio la aspettava. Ma quella sera la stella aveva voglia di cantare. Il vecchio violinista la assecondò.
Da quel puntolino luminoso, la voce di Claire Annette arrivava forte e chiara:
«Stai bene o male,
chiaro o scuro,
bianco o nero?
va come va…
Trovi un sorriso,
un thermos di tè
che poi ti scalderà.
Que serà serà,
d’anticipo non si sa,
il senso è trovare la
…tua tonalità.
Que serà serà,
d’anticipo non si sa,
domani però verrà
e che sarà sarà».
Bello veramente bello e struggente, un brivido lungo la schiena.
Il vostro splendido dono di Natale. Grazie di cuore!
Grazie Silvana e Sergio di questo regalo, che ascolterò e leggerò con affetto . ombretta