Ho «incontrato» il paese di Frugarolo per la prima volta la sera del 15 gennaio 2025, quando sono stata invitata da Bruno Fara alla rassegna «Storie di donne» nella sede della Società di Mutuo Soccorso, a presentare il mio romanzo «Tuo padre suonava l’armonica». Una bella iniziativa letteraria, in un salone molto accogliente e ricco di memoria, in cui sono state protagoniste, di mese in mese, numerose autorevoli autrici. Bruno Fara, in quell’occasione, mi consegnò il bando del concorso «Il luogo. Profili di una terra: scorci e visioni dei due Borghi: Bosco Marengo e Frugarolo». I partecipanti erano invitati «a esplorare e a rappresentare l’essenza del Genius Loci, lo spirito unico che caratterizza questo territorio, attraverso opere di pittura, fotografia, arte digitale, scultura, poesia, narrativa, composizioni musicali e danza (coreografie) interpretandone in modo personale e originale l’identità culturale, storica e paesaggistica». È stato, per me, lo spunto per tornare a scoprire Frugarolo, gironzolando per le strade e tra le case. È nato così il racconto «Il bouquet di lillà», totalmente frutto della mia fantasia (i personaggi sono inventati), ma ispirato a una autentica tradizione, che ora non c’è più, quando Frugarolo e Bosco Marengo erano avvolti dall’identico profumo, delicato e ambrato, dei bianchi fiori di lillà amati dalle spose.
Sabato 17 e domenica 18 maggio i numerosi lavori – di ogni espressione artistica – partecipanti al concorso sono stati esposti nel Complesso di Santa Croce, a Bosco Marengo, luogo magico e maestoso voluto da Papa Pio V (al secolo Antonio – Michele – Ghislieri), che era nato a Bosco Marengo nel 1504. Due giorni di festa all’insegna di «Arte & Sapori», promossi dai rispettivi Comuni di Bosco Marengo e Frugarolo, con la collaborazione delle Pro loco di Bosco Marengo e di Frugarolo, della Sms di Frugarolo, Amici di Santa Croce, Magliette Gialle di Frugarolo e Polisportiva di Frugarolo.

Da sabato mattina, dopo l’inaugurazione (guidata da Enzo Baldon, cui hanno portato il saluto i sindaci Maria Erminia Zotta di Bosco e Martino Valdenassi di Frugarolo), fino a domenica sera si è avuta prova che, lavorando insieme, si può fare e si può contare di più: le buone alleanze aiutano a crescere.
Ah, ancora una cosa: ho vinto. Al racconto «Il bouquet di lillà» è stato assegnato il primo premio nella sezione di narrativa, «in riconoscimento del valore artistico e della capacità di interpretare l’identità e la memoria del territorio». Con emozione, ringrazio la giuria e i promotori dell’evento.
Qui il QR code per leggere tutte le opere di narrativa e poesia partecipanti al concorso.
E, infine, ecco il racconto «Il bouquet di lillà», per chi ha piacere di leggere questa nuova «StOriA CoSì», perché «‘na storia bela fa piasì cüntela»!
«IL BOUQUET DI LILLA’»
Dopo aver parcheggiato, l’uomo scese dall’auto, diede una spinta alla portiera e prese a guardarsi intorno. Girava su sé stesso lentamente, gli occhi a fessura per proteggerli dal sole pungente.
Osservava attento, con la fronte corrugata, cercando appigli in un tempo lontano.
Quanto lontano? Quanto tempo era passato?
Oltre sessant’anni. Era un ragazzo, faceva la naia.
Inspirò l’aria, cercando indizi non soltanto nelle forme, ma anche negli odori. Allora, in quel suo tempo andato, c’era una fragranza speciale che si diffondeva da questa terra: era il profumo dei lillà. Li si coltivava in campo e, in autunno, li si trasferiva in serra perché fiorissero sotto Natale e nei mesi immediatamente successivi. Erano i fiori bianchi delle spose invernali, con cui si addobbavano le chiese e si confezionavano raffinati bouquet a cascata, racchiusi alla base dalle caratteristiche foglie a cuore avvolte da un nastro di raso.
L’uomo imboccò la rampa di acciottolato, realizzata con sassi prelevati dal vicino torrente Orba, e salì verso la parrocchiale di San Felice. Notò il campanile altissimo; aveva saputo… non ricordava più da chi… che quello originale era crollato nel 1980 e, successivamente, ne era stato costruito uno nuovo, quello appunto, alto ben quarantacinque metri. Fece scorrere lo sguardo fino alla cima… mah, non avrebbe saputo dire se gli piacesse e no. Arrivò fino al sagrato della chiesa, si fermò davanti al portale chiuso e deglutì per qualche istante un antico ricordo dolce-amaro.
Proseguì passo a passo, senza premura, con le mani incrociate dietro la schiena leggermente curva.
I pensieri si accavallavano, mescolando presente e passato. Aveva viaggiato tanto, la professione l’aveva portato nei luoghi più sperduti del mondo. Aveva guidato, volato, camminato al ritmo di una fretta che non dava tempo all’orologio di scandire le ore e i minuti. Adesso, la rigidità delle articolazioni lo costringeva a tenere un’andatura lenta e guardinga, ma non se ne doleva: quel giorno, a Frugarolo, non aveva premura.
Lungo il tracciato pedonale attiguo alla chiesa, levò gli occhi verso il cartello chiaro, incastonato in una cornice decorata con volute di metallo. Dovette strizzare gli occhi per leggere la scritta scolorita: «Camminamento Cardinale Alberto Bovone 1922 – 1998».
Il sole brillante spandeva un lieve tepore che si insinuava nell’aria frizzantina.
L’uomo camminava senza meta, guardandosi attorno incuriosito e attento. Ogni tanto sorrideva, poi, di colpo, si fermava come se un dettaglio – un portone, un cancello, un giardino – gli fosse famigliare. Che strani scherzi fa la mente! Le case, rispetto agli anni Sessanta, erano sicuramente cambiate, ristrutturate, ridipinte. E, tuttavia, non si sentiva del tutto spaesato.
Girovagando, si ritrovò nel parcheggio, attraversò la strada e imboccò il marciapiede lungo via Cavour. Si fermò a osservare, sul lato opposto, l’edificio giallo, costruito in modo simmetrico come le case che disegnano i bambini: una grande porta di legno e vetro al centro, due finestre di qua e due di là. In alto, la scritta Municipio, sormontata da un balconcino con tre bandiere sventolanti: quella europea, quella italiana e quella piemontese. Ancora più sopra, uno stemma con un vaso giallo e sei spighe di grano.
L’uomo notò, su una delle inferriate, un cartello con la scritta Biblioteca Comunale. D’istinto attraversò, varcò l’ingresso principale e, appena entrato, si fermò sulla soglia di una porta spalancata, davanti a una scrivania deserta. Le pareti erano occupate da scaffali pieni di libri. Una voce dall’altra stanza confermò una presenza umana: «Arrivo subito».
Pochi istanti dopo, una donna minuta si affacciò e si affrettò a prendere posto alla scrivania. Alzò gli occhi verdi incorniciati da un caschetto grigio e domandò: «Desidera?».
Già: che cosa desiderava? Che cosa l’aveva spinto a entrare?
«Un libro sulla storia di Frugarolo…» abbozzò. Avrebbe voluto aggiungere: “Sono stato qui molti anni fa, quando facevo il soldato ad Alessandria, e con alcuni amici si veniva in paese a ballare, e al cinema, su in galleria. Tutte le domeniche venivo, eh, perché…”. Ma quanto potevano interessare a quella donna i suoi ricordi?
«Ci sono di sicuro delle pubblicazioni su Frugarolo» rispose la bibliotecaria, «ma in questo momento non saprei dove trovarle, alcuni libri sono stati portati altrove. Sa, io faccio volontariato e…».
L’uomo annuì, ringraziò brevemente e si avviò verso l’uscita. Poi, quando già aveva afferrato la maniglia, si voltò d’impulso: «Lei conosce, per caso, Liliana Lorenzotti? Dovrebbe avere all’incirca…la mia età» disse abbassando la voce e indicando con l’indice la sua canuta capigliatura.
La bibliotecaria lo scrutò per alcuni istanti, poi scosse il caschetto grigio: «Liliana Lorenzotti?» sillabò pensierosa. «No, non la conosco».
Osservò l’uomo che usciva e, annuendo a sé stessa, mormorò: «Certo che la conosco, la Liliana. Altroché se la conosco, ma perché dovrei parlarne a uno che… che non è neppure di qui?».
L’uomo riprese il suo girellare sconclusionato. Passò davanti alla Antica Trattoria della Frasca. Lesse un cartello: «Giovedì c’è la trippa». Ne avvertì in bocca il gusto denso, gli sarebbe piaciuto riassaggiarla, ma scosse la testa: non era giovedì.
Vagava di via in via, tra le case ben curate, con portoni lucidi e protettive inferriate eleganti. Si fermò davanti all’edicola votiva della Madonna con Bambino, San Rocco e Sant’Antonio Abate. Poi, imboccò via Gramsci, attraversò la piazza, sostò qualche istante ai tre Monumenti dei Caduti e arrivò alla soglia della chiesa di Sant’Anna. Sospinse una delle porte laterali, entrò e provò un brivido per l’umidità. Gli apparecchi radianti, appesi in alto, erano spenti: con quel che consumano, di certo li accendevano soltanto in occasione delle funzioni. Percorse il perimetro lentamente e uscì apprezzando il tepore debole del sole.
Tornò in via Gramsci, superò il Bar, con le inferriate verdi e i festoni di bandierine dello stesso colore, e raggiunse una cancellata sormontata da un’insegna «Unione Frugarolese Società di Mutuo Soccorso. Ingresso riservato ai soci». Nel cortiletto, qualche tavolino e sedie di plastica, appoggiate al muretto un paio di biciclette.
“Qui c’era il cinema” ricordò commosso. La costruzione, di color pesca impallidito, era sormontata da una elegante balconata con aggrappata una pergola di glicine. “Era qui, sì, era proprio qui!”. Annuiva eccitato e sorrideva a una pellicola immaginaria che scorreva soltanto nella sua mente. Qualcuno degli avventori sollevò distrattamente lo sguardo, appena incuriosito dalla presenza di quel tipo foresto. Ma l’uomo non se ne curò. Non si schiodava di lì, aggrappato, come il glicine, alla forza dirompente di ricordi che affluivano a ondate in immagini, colori, suoni e profumi lontani. E, al centro di quel fluire vivido, c’era lei, bella, dolce, minuta. Lei, il suo «Bruscolino» come la chiamava con tenerezza. Lei, che gli sussurrava “ti amerò per sempre”. Lei, che lui aveva giurato di sposare nella parrocchia di San Felice, se non fosse accaduto che…
Spesso sono i dettagli apparentemente insignificanti che cambiano i destini. L’uomo inspirò la tristezza e riprovò la rabbia per quella punizione eccessivamente severa al rientro ritardato in caserma, e il suo immediato trasferimento, e poi i dissesti in famiglia che lo avevano tenuto lontano. Ma le lettere… quante lettere le aveva scritto… perché non aveva mai risposto? Quando, poi, era riuscito a tornare, lei era già sposata.
Anche l’uomo, tempo dopo, aveva messo su famiglia, perché una famiglia ci vuole, perché soli non si può stare, perché è il corso naturale delle cose, l’ingranaggio da cui difficilmente si riesce a sfuggire. Nascono i figli, si celebrano le ricorrenze, si lavora, si corre, ci si arrabbia. È la vita. Fino a che era rimasto solo: vedovo e i ragazzi lontani per il mondo.
Si era fatto tardi. La bibliotecaria chiuse diligentemente l’uscio e si avviò verso casa. Non aveva troppa fretta, nessuno l’aspettava da quando, una decina di anni prima, era morto Mario, così mite, premuroso, affidabile. Gli aveva anche voluto bene, un affetto sincero e fiducioso. Si erano tenuti buona compagnia.
Doveva affrettare il passo, perché di sicuro Nuvola reclamava la sua dose serale di crocchette.
Certo che la conosceva la Liliana. E chi non conosceva, a Frugarolo, la signora maestra che aveva insegnato a chissà quanti bambini, lei che di bambini non ne aveva avuti. Non ne erano venuti. E con Mario se n’erano fatti una ragione, senza scombussolare il loro tran tran delicato e metodico.
Ma perché avrebbe dovuto parlare della Liliana a quel tipo, che di sicuro a quest’ora se n’era già andato via come un lampo, così come era arrivato?
Raggiunse il portoncino di legno, sormontato da una tettoia di coppi.
La voce alle spalle la bloccò con il braccio piegato e la chiave, stretta tra l’indice e il pollice, da infilare nella toppa. «Bruscolino, vuoi sposarmi?».
Liliana deglutì e si passò la lingua sulle labbra secche, ma non si voltò.
«Lilli…» incalzò l’uomo trepidante.
Lei non si muoveva. E, invece, avrebbe dovuto spicciarsi perché Nuvola, sul davanzale, miagolava. Ma era passato tutto quel tempo… E quelle lettere… Le aveva trovate soltanto quando sua madre era morta… santa donna, le aveva intercettate e gliele aveva nascoste, perché quel soldato era uno di cui non si sapeva niente, la sua unica figlia doveva maritarsi con uno del posto, affidabile…
«Bruscolino, mi vuoi sposare? Adesso!» incalzò l’uomo impaziente e si affrettò ad aggiungere: «Il tempo di fare i documenti e di aspettare che fioriscano i lillà per il bouquet…» concluse, sfumando la voce.
Nuvola miagolava con insistenza. Passò una donna in bicicletta: «Ciao Liliana».
«Ciao» rispose distrattamente la bibliotecaria e, subito dopo, «sì» affermò decisa, voltandosi. «Sì, lo voglio» ripeté, fissando l’uomo, «sì, perché troppo tempo è andato perduto e altro non se ne può sprecare».
Fuori, palesavano entrambi i segni degli anni; dentro, nell’anima e sottopelle, erano adolescenti.
«I lillà fioriranno presto» lo rassicurò lei. Gli sorrise, aprì la porta ed entrarono insieme.
Brava Silvana! Per noi che ti conosciamo, è una conferma!
E ne avremo delle altre…
Complimenti
Racconto tenero ricolmo di malinconia e di voglia di vivere. Da leggere tutto d’un fiato…..
Molto bello, tanta tenerezza e tanti bei ricordi. Complimenti per il tuo premio. Sei fantastica
Complimenti!
Un forte abbraccio.
Bellissima storia e poi a lieto fine. Ma prima di arrivare alla fine il vagabondare dell’uomo guidato dai ricordi trasforma il racconto in visione come in un film. E il lettore diventa un componente del racconto che sembra essre nrl luogo e assistere alla evoluzione degli eventi.
Il premio e’ piu’ che meritato
Cara Silvana, è proprio così. Ti hanno scritto e condivido, con immensa simpatia e gratitudine: “una conferma”… “tenerezza, malinconia, gioia di vivere”…è un bellissimo film. Da parte mia, i racconti venati di malinconia, mi prendono e i lasciano con un sorriso di dolcezza sulle labbra. Quando nell’autunno della vita, si può riabbracciare la persona che hai amato in gioventù, tutta la vita precedente acquista senso. Dovevi arrivare qui, dopo anni e anni di pellegrinaggio tra luoghi e persone. Tutte belle e amorevoli, tutti paesaggi che hai amato. Vero. Ma… se in fondo al cuore uno potesse interrogarsi, forse ci troverebbe proprio colei o colui che la vita gli ha portato via; che a causa dei tuoi viaggi, lavoro, famiglia, mille impegni, hai perso per strada. O si è voluta perdere, perché non era quello il momento giusto. Perché c’è un tempo per ogni cosa e quel tempo non era allora. É adesso. Pieno di felicità. Grazie Silvana per crederci e invitarci a credere che l’amore esiste. E non muore. Anche se a volte è soltanto una nostra suggestione. Ma va bene così. Ci rallegra la vita e gli dà un senso. E non è mica poco. Ti pare?